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Guido Carione ricorda Aniello De Vita ad 11 anni dalla scomparsa

DiAlfonso Verruccio

Lug 24, 2024
Parlare di Aniello De Vita, il cantore del Cilento, significherebbe dover raccontare i suoi innumerevoli meriti artistici e professionali, la sua eccellente produzione discografica e letteraria fatta di 7 LP, 4 libri, circa 100 canzoni ed un numero imprecisato di videocassette e DVD che lo hanno visto protagonista in concerti ed apparizioni varie.
Significherebbe parlare delle sue tante tournee fatte in Italia e all’estero con una, trionfale, negli Stati Uniti d’America, avvalendosi del fior fiore dei musicisti cilentani.
Significherebbe parlare delle sue due lauree, una in medicina ed una in sociologia.
Ma tutto questo è ben conosciuto essendo stato anche raccontato da altri relatori e musicisti che mi hanno preceduto nelle passate edizioni su questo palco.
Io stasera, invece, per ricordarlo, vorrei soffermarmi sulla nascita di un’amicizia, sulla storia di un incontro, il mio con Aniello, sul finire degli anni ’90, e di tanti momenti trascorsi insieme a parlare di musica, tradizioni, di emancipazione sociale, insomma della vita in generale.
All’epoca Aniello conduceva un seguitissimo programma di medicina sull’emittente Tele Salerno 1 con sede a Battipaglia, emittente con la quale collaboravo anch’io. Fu lì che lo vidi, in video, per la prima volta: lo seguivo, lo apprezzavo, ma non ebbi modo di conoscerlo di persona. A dire il vero non sapevo neppure che quel valente cardiologo fosse la stessa persona che sapeva così bene cantare il Cilento e di cui avevo ascoltato alla radio le canzoni.
Ricordo ancora oggi quante volte Radio Monte Mauro, emittente di San Mauro La Bruca, passasse i suoi brani, gettonatissimi dagli ascoltatori, che approfittavano di quei passaggi musicali per fare le dediche, così in uso in quei tempi. Ed Aniello era richiestissimo: in quei testi, che raccontavano gioie e dolori di una terra aspra e dolce come il Cilento, la gente, i cilentani, si immedesimavano, si riconoscevano.
Era il periodo delle radio libere iniziato a metà degli anni ’70, con realtà come Radio Monte Gelbison, Radio Papera ed altre emittenti che permettevano ancora di programmare la musica che si voleva, senza sottostare, come purtroppo accade oggi, alle major, alle case discografiche, che per non sperimentare e correre rischi oramai puntano quasi esclusivamente sui talent e sui successi facili ed immediati a discapito, quindi, di artisti davvero promettenti che avrebbero però bisogno di tempo ed attenzione per maturare. E a queste tematiche Aniello teneva moltissimo, avendo vissuto sulla sua pelle le difficoltà di emergere affidandosi, purtroppo, solo all’autoproduzione.
Ma arriviamo al momento in cui finalmente conobbi Aniello…
Nell’aprile del 2000 iniziai a condurre Paesìa su Telecolore, insieme all’amico Giacomo Giuliano e con la regia di Carmine Marano. Un programma itinerante che di volta in volta si occupava delle realtà enogastronomiche, della storia, delle tradizioni e delle bellezze dei nostri paesi. In quel contesto avevamo inventato la figura dell’ambasciatore, a cui simbolicamente venivano consegnate le chiavi della città. Si trattava di un personaggio che nella località in cui ci recavamo fosse riconosciuto per le sue doti umane e professionali.
Quando si trattò di registrare qui, a Moio della Civitella, non avemmo quindi dubbi: doveva essere Aniello De Vita l’ambasciatore, nato proprio in questa terra, lo stesso che in modo intelligente e calzante aveva coniato per sé l’appellativo di “Medico per vivere e cantore per non morire”.
Purtroppo per una serie di circostanze e di imprevisti non riuscimmo a concretizzare tale desiderio. Ma non disperammo, perché di lì a qualche settimana saremmo dovuti andare a registrare a Vallo della Lucania.
Quando ci sentimmo al telefono lui fu davvero felice di questo e mi chiese timidamente se oltre a ricoprire il ruolo di ambasciatore a Vallo poteva anche portare con sé qualche amico musicista per eseguire qualche brano.
Altro che qualche amico! Quel giorno nella piazza principale di Vallo della Lucania, ove registrammo l’inizio della puntata, portò il meglio dei musicisti cilentani che eseguirono dal vivo per noi, tra il compiacimento e la meraviglia del pubblico che si era intanto radunato, “So nato a lu Ciliento e me ne vanto”, un vero e proprio capolavoro musicale, proposto a più riprese, come saprete, quale inno ufficiale del Cilento.
Aniello era molto generoso ed attento. A fine registrazione portò tutti noi, conduttori, cameramen e musicisti a pranzo in un ristorante locale. Credo gli sia costata una fortuna: eravamo una dozzina di persone.
A pranzo ebbi modo di apprezzare tutte le sue doti umane, prima ancora che professionali. Mi raccontò aneddoti della sua vita, dei suoi sacrifici, dell’amore che aveva per la sua terra, per i suoi amici e la sua famiglia.
Mi raccontò di quanto fosse stato difficile farsi spazio nel mondo della musica e di quanti preconcetti e luoghi comuni dovette combattere.
Tante volte ci siamo poi incontrati ma un altro ricordo risale all’8 agosto 2010. Presso il palazzo Cagnano di Laureana Cilento si svolse il “Premio Nazionale di Poesia San Martino – Versi tra le stelle” organizzato da Angelo Niglio e da me presentato. In quell’occasione gli venne conferito il Premio alla Cultura Alfredo Di Marco per aver saputo divulgare nella sua carriera la cultura cilentana nel mondo. Non dimenticherò mai la sua emozione quando mi disse: “Vedi, Guido, i premi sono sempre una cosa gradita ma ciò che mi rende ancora più felice stasera è il constatare quante persone ancora vi siano che si appassionano alla loro storia, alle loro origini, a ciò che conta davvero”.
Tra l’altro in quell’occasione io avevo l’auto guasta e sapete come arrivai a Laurena Cilento? Con Aniello, che insieme alla sua gentile consorte, venne addirittura a prendermi e poi a riportarmi a casa. Un grande gesto di gentilezza che mi colpì molto.
L’ultimo incontro avuto con Aniello avvenne circa un mese prima della sua scomparsa. Andammo a trovarlo nella sua casa di Salerno io e il maestro Pasquale Curcio.
Era sofferente e stanco ma quanta gioia ebbe nel vederci arrivare lì.
Pur nella difficoltà di quel momento della sua vita quando la malattia era divenuta ancora più aggressiva continuava a fare progetti, continuava a comporre musica.
All’amico Pasquale diede un inedito da poter ultimare e musicare insieme. Si trattava di una sorta di filastrocca, con proverbi cilentani raccolti in rime, che poi, purtroppo, a causa della sua morte, non è stata mai ultimata.
Quel giorno Aniello, con la gioia di un bambino, ci fece anche vedere una chitarra acustica, nuova di zecca, appena acquistata nel negozio “Nido dei suoni” di Salerno. Grande Aniello. Legato alla sua passione sino alla fine dei suoi giorni.
“La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”, diceva Johan Sebastian Bach, ed Aniello con le sue canzoni ha saputo raccontare come pochi storie di emarginazione, solitudine e sofferenza.
A conclusione di questo mio intervento, vorrei aggiungere un’altra citazione che dedico col cuore all’amico Aniello, che mi è stato vicino, come un fratello maggiore, anche in momenti delicati della vita, quei momenti che possono capitare a tutti.
Ha scritto Robert Louis Stevenson:
“Noi siamo tutti viaggiatori in questo mondo selvaggio e il meglio che possiamo trovare nei nostri viaggi è un amico onesto”.
Per me è stato così.