Nel libro”Interviste al passato – a modo mio” presento gran parte dei miei scritti solo parzialmente confluiti nei quotidiani “Le Cronache” e “Quotidiano del Sud”. Quel “a modo mio” non è un vezzo da vanesio, poichè ritengo di aver da sempre portato avanti un modello di scrittura molto personale. Che è quello che mi è sempre piaciuto leggere (ed ho letto molto ). Ai tempi della scuola superiore quando facevo filone mi recavo presso una bella biblioteca situata nel centro più centro e più storico di Eboli, e pur da adolescente distratto (lo sono stato anche io) ero recordman per i libri chiesti in prestito e letti. I grandi “mattoni” me li sono sciroppati tutti. Da adolescente. La voglia di scrivere, e raccontare, si origina da lì. Archiviati gli effetti più pesanti e deleteri di un meningioma che mi ha bloccato per diversi anni, eccomi qui a riprovarci ed a sottopormi al vostro giudizio ed a chiedervi indulgenza. Altri ricordi, sono lontani, ed io molto piccolo, non più di otto – nove anni. Piazza di Altavilla, all’ombra del Castello medioevale c’è la piazza del mio paese. E’ affollatissima in una domenica mattina dei primi anni Settanta: un uomo da un palco, con la giacca in mano, racconta vicino al microfono che aveva ricevuto delle ritorsioni per qualcosa che aveva scritto sul giornale. A casa poi saprò che costui era Bruno Mazzeo – maestro elementare, consigliere comunale, oratore tagliente e brillante corrispondente de “Il Mattino”. E’ il primo giornalista in carne ed ossa che io, con papà, nonni e bisnonni tutti contadini, e non lettori di giornali, abbia visto. Mi fermai e lo ascoltai, ero un bambino, non lo so come fu, ma forse la molla scattò da quel momento. E continuò, per molti anni, con il semplice acquisto di tutto ciò che potevo leggere e, soprattutto permettermi di acquistare dalle edicole. Poi mi rapì la voglia d’impegno politico ed il giornalismo l’avevo accantonato a semplice hobby. O meglio, fino a che, in soli tre anni cadesse sia il muro di Berlino che la dittatura della partitocrazia in Italia, giornalista non diventavi se tuo padre e tuo nonno avevano solo arato terreni ed allevato mucche e capre nelle campagne di Sgarroni, sulle colline che guardano agli Alburni, loro che di politica e di favori da chiedere ai potenti non ne avevano mai voluto sapere. Io poi ci ho messo del mio: non ho mai fatto il servo sciocco di partito. Mi è valsa da utile gavetta quel lungo “Purgatorio” che ho attraversato in innumerevoli giornali, dove ho scritto a gratis, che oggi perfino io fatico a ricordarli tutti. Volevo fare anche io il giornalista.
Per oltre venti anni sono stato il corrispondente del “Mattino” e scrivo, con continuità, non solo sul mio paese, ma con un orizzonte aperto su tutta la Valle del Calore e la zona degli Alburni. Un altavillese, per di più uno del contado, mette la sua firma sul quotidiano più antico e prestigioso del Mezzogiorno dopo quasi venticinque anni dal giorno che Bruno Mazzeo, che m’incantò quella mattina, aveva smesso. In molti mi riconoscono che lo faccio con onestà intellettuale. Quest’ultima circostanza è l’unica “medaglia” che mi piace appuntarmi sul petto.
Non sono nuovo ai libri. Con il mio “I paesi delle ombre” ho tolto dal dimenticatoio alcune storie che ho raccontato ai lettori in questo ultimo decennio di professione. Esempi: Il caso Majorana e la scomparsa del sindaco Rago mi hanno particolarmente appassionato. altra storia sulla quale mi sono impegnato è quella del passaggio del premio Nobel Hemingway attraverso il Cilento. Il volume si chiude con un’ampia parte dedicata al mio paese: Altavilla Silentina. Prendetela come un’altra mia testimonianza di appartenenza comunitaria.
Sono fedele a quell’idea romantica di giornalista che, senza antipatici e velleitari esibizionismi, in ogni articolo che scrive non tradisce mai i suoi lettori – acquirenti del giornale. Cerco di non scendere a compromessi con i tanti poteri, legali ed illegali, ed economici, che oggi – in questa parte della Campania – condizionano la professione di comunicatore. Sono un ingenuo sognatore? Chiamatemi pure così, mica mi offendo. Sono brutto e vecchio, zero bella presenza, non oso riciclarmi in soubrette o presentatore.
Mi piace pure riportare quest’altro racconto che mi volle dedicare Giorgio Mottola, inviato di punta di Rai Reporter: “In almeno una ventina di paesi a sud di Eboli, la parola “giornalista” evoca nella mente di quasi tutti un solo nome, quello di Oreste Mottola. Eppure di giornalisti, più o meno famosi o più o meno falliti, in questi posti ce ne sono a bizzeffe. Il fatto è che, in quasi tutto il Cilento, Oreste è stato per quasi due decenni l’unico collettore di storie e di memorie, molto prima che andasse di moda la paesologia e che dilagassero i siti iperlocali. È per questo che ogniqualvolta un giornalista di una testata nazionale (da Gianantonio Stella, che lo ha citato in un paio di suo libri, agli inviati della Rai) si interessa di questo depresso e astruso lembo di terra, per avere una chiave di interpretazione, la prima cosa che fa è telefonare a Oreste Mottola. E lo stesso hanno fatto due o tre generazioni di giovani cilentani. Non appena qualche adolescente cominciava a coltivare la passione del giornalismo, prima ancora di scrivere il suo primo articolo, è a Oreste che si è rivolto. Ed è stato Oreste a concedere a decine di futuri giornalisti la fiducia e lo spazio su un giornale di carta. Anche io sono tra questi. Quando ho preso a scrivere per il più venduto quotidiano locale venivo pagato un paio di euro ad articolo. Non lasciava a desiderare solo la paga, ma anche la libertà. Potevo pubblicare, per 10 centesimi a riga, solo ciò che non comportasse problemi né ai politici né ai corrispondenti più anziani, che gestivano le pagine locali del giornale come feudi medievali. È stato Oreste Mottola a permettermi di pubblicare sui suoi giornali gli articoli che altri non accettavano nemmeno come proposta. Grazie ad Oreste, ho avuto la possibilità di non essere paralizzato dalla delusione e di innamorarmi per sempre di questo mestiere. Un mestiere che Oreste Mottola ha esercitato sempre con grande onestà: con tasche e suole bucate. Non so se sia il più mite tra i coraggiosi o il più coraggioso tra i miti. Ma ricordo che è stato l’unico ad avere il coraggio di scrivere, senza nessuna autocensura, dei due più grandi scandali che hanno attraversato Albanella negli ultimi vent’anni. Ricordo anche che, in quelle occasioni, altri giornalisti o hanno girato la testa dall’altra parte, cominciando a scrivere solo quando era impossibile non farlo, o si sono impegnati a screditare le vittime”. Questo libro è dedicato, in particolare, a due cari amici altavillesi con i quali amavo discorrere: Armido, l’anima più paesanamente vera, e Oscar, l’operaio intelligente e tollerante, grande ragionatore. Il paese senza di voi mi è davvero straniante..
.